Trama dell'opera
Questa narrazione è una rielaborazione della storia originaria (Eneide libri I, II, IV) frutto della creatività dell’autore
ATTO I
Enea, figlio di Anchise e della dea Venere, dopo la distruzione di Troia da parte dei Greci, fugge dalla città in fiamme con il padre, il figlio Ascanio e alcuni compagni. Durante il viaggio si ritrova nel bel mezzo di una tempesta marina vicino alle coste libiche. I troiani si disperano ma Enea ha fiducia negli dei e infatti, quando tutto sembra perduto, improvvisamente spunta il sole e all’orizzonte appare una terra. I troiani sbarcano ed Enea li consola rammentando il loro fato: un giorno fonderanno una gloriosa città nel Lazio.
Una volta mandati i compagni a cercare provviste, a Enea appare la madre Venere, chiamata anche Citerea, che lo conforta, confermandogli che i fati sono ancora immutati: la loro stirpe un giorno sarà gloriosa e dominerà il mondo. Quindi gli rivela di essere giunto nella Libia nei pressi di Cartagine la cui regina è Didone, altrimenti nota come Elissa: precedentemente regina di Tiro, ella fu costretta a fuggire con i suoi compagni dal malvagio fratello Pigmalione che le uccise il marito Sicheo e le insidiò il trono, quindi giunse in Libia dove fondò Cartagine.
La seconda scena si apre nel palazzo della regina che ha apprestato un lauto banchetto per accogliere i troiani ed Enea, a cui chiede di raccontare la caduta di Troia e i suoi viaggi; egli quindi, represso il dolore in petto, racconta le ultime vicende della guerra di Troia, le sue peregrinazioni e tuttavia la rivelazione di un destino glorioso. Nell’ascoltarlo, Didone si innamora di lui.

ATTO II
Alcuni giorni dopo, Didone rivela alla sorella Anna il suo ormai folle amore per Enea e al contempo il suo dissidio, in quanto teme di essere colpevole nei confronti del defunto marito Sicheo. Anna tuttavia la esorta a cedere a questo amore, in quanto la presenza di Enea e dei suoi compagni può giovare a Cartagine, essendo questa attorniata da popolazioni bellicose.
Quello stesso giorno perciò, durante una battuta di caccia in cui un improvviso temporale ha costretto Enea e Didone a rifugiarsi in una spelonca, ella gli rivela il suo amore, che viene ricambiato.

ATTO III
Sono passati tre mesi dall’inizio della relazione dei due amanti e Didone esprime tutta la sua felicità. Irrompe tuttavia nella scena la sorella Anna, la quale asserisce che Iarba, re dei getuli che aveva precedente chiesto di sposare Didone e che era stato respinto, venuto a sapere della sua relazione con Enea le ha mosso guerra e sta marciando verso Cartagine con il suo esercito. Giunge quindi Enea, che si propone di affrontarlo con i suoi compagni. Prima della battaglia, Didone si rivolge a Giunone, dea protettrice della città e moglie di Giove, per chiederle di far tornare sano e salvo Enea e per supplicarla di non lasciar mai partire il suo amato da Cartagine. Avviene poi la battaglia, i troiani prevalgono nettamente e ritornano in città in trionfo.

ATTO IV
Enea non è privo di rimorsi: egli conosce i suoi doveri verso i suoi compagni e verso gli dei di fondare una città nel Lazio, ma non sa staccarsi da Didone. Giunge perciò Venere ad incitarlo a partire, rammentandogli che potrà trovare felicità solo seguendo la volontà divina. Egli quindi si risolve a partire, e ordina al suo compagno Acate di preparare le navi. Mentre pensa a come rivelare a Didone la sua decisione, la regina irrompe adirata, avendo scorto da lontano i troiani preparar le navi.
Egli prova a spiegarle le sue ragioni, ma Didone è furente con lui: Enea dunque parte da lei, reprimendo un immenso dolore nel cuore. Didone piange amaramente, maledice Enea, chiede agli dei vendetta contro di lui e contro la sua stirpe, quindi si uccide con la spada regalatale da lui stesso, sul talamo che aveva fatto porre su di una pira, tra lo strazio della sorella e delle ancelle; frattanto sullo sfondo appaiono le navi troiane che prendono il largo verso il loro glorioso destino.
